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INTERNO
Il tuo busto sinuoso di tre quarti mi pare di vederlo per intero, di discernere i suoi nascosti tratti - le punte degli zigomi, la curva del seno - se ti circondi di monili rari - amuleti d’arte, talismani - su cui rimbalza molle il tuo riflesso distorto come il lume sui colli di bottiglia: stanotte ti sorveglia il ritratto fiammingo arso dai secoli nel mogano ovale mentre una babilonia floreale rompe il ricamo dell’arazzo persiano e satura l’aria insidiando l’aldeide fougère del tuo profumo. Questa bellezza diffusa ti segue come uno strascico nuziale, ti avvolge come un sudario di lino e l’anima esangue, suggerita per un istante, ricopre. Io la compongo e la conosco intera per nobiltà ottenuta, per tradizione, per ricerca d’amore, vera. L’incanto della tua schiena lunare fa il mio nome e forse sei tu l’estremo legame che fa di me copia conforme (di tutto il bello del mondo, persino?) Ma se il braccio si slancia e la tua seta tesa è calamita un soffio d’aria calda s’intromette tra le dita e al tocco tra noi due il suo veto pone: il tuo corpo eretto è un’ombra che si spunta dal suolo e vaneggia nell’androne, disperdendo.
BALLANDO CON ARLIANA
Arliana, a te direi tutto e lo farei così, mea sponte, senz’attendere nient’altro che il lume intenerito dei tuoi occhi verdeoro, il sopracciglio esattamente teso e le domande che senza un fiato fai cadere nella schiuma del caffè alle nocciole dove getta, il mio cuore, le tagliole.
Arliana, a te direi tutto, a te direi che non so più godere, che ogni piacere oggi mi appare come un noioso sforzo e se lo tenta il corpo sempre pronto non gli resta che il tremore delle fatiche vane e l’alta vetta a cui un tempo ambivo è rimasta un miraggio da deserto: certo, leggero non sono stato mai, non prendo il vento fresco quando spira né so lasciar andare l’aria consumata alla fine dell’estate e talvolta dai palpiti s’astiene il cuore che tutto trattiene.
Arliana, a te direi tutto, a te direi che l’inerzia s’innerva sulla pelle del viso affaticata come un altro sistema vascolare, che mi fa ciottolo e m’incrosta all’alveo millenario del torrente: così mi rimarranno sempre ignote le rapide fantastiche e la foce malsicura e piena di miracoli. Se fossi diverso accetterei questo destino e le carezze dei flutti flessuosi appagherebbero i dolci desideri del mio riso, ma l’anima è un gonfio lenzuolo inchiodato ai suoi fili, teso al volo.
Arliana, a te direi tutto, a te direi che a ogni risveglio non so più che cosa voglio, se un altro amore, un amico o il conforto ambiguo delle carte scribacchiate; che mi costringo nelle vite altrui e subito vi entro ma come spettro senza forma che tutto trapassa e non lascia orma.
Arliana, a te direi tutto, a te direi dello scudo che ho intorno su cui rimbalza ogni parola e muore come un volo di zanzara sull’orlo infido della brace artificiale: così, immancabilmente, resto un uomo misterioso e così chiuso che a nessuno importa davvero dell’enigma che mi complica invano. Solo tu saprai di quel poco che dorme sotto la mia scorza e il tempo imperatore smorza.
Arliana, a te direi tutto e lo farei perché infine son pronto come l’uomo, sulla soglia estrema, al prete di paese.
DILATAZIONE DI AGOSTO
La mia voce deve avere il calore dell’estate, se t’incanta col nome dei quasar, se scintilli di un albore di comete poi afferri le sue chiome fin quasi al margine di un buco nero. Il tuo viso non sa se abbandonarsi al mio sermone o l’animo severo fermare le mie dita e i loro intarsi. Ma c’è per me una via tra i tuoi occhi di un verde oltremarino? nell’atollo sereno e cristallino la mia nave va a spirale dentro il gorgo ed è grave il dolcissimo sospetto che a mollo nel mare del tuo cuore io sempre tocchi.
ANTICIPAZIONE
a A.
Anche tu non hai mai rotto il cerchio dove tutto assume un nome dove tutto si conosce, si somiglia. Resterai con me, come chi s’è cercato in un tutt’altro, custodirai questo sgabello io e te di fronte, ancora per vent’anni “mi lasceranno sola” già sapevi, col ricordo che riflette alcune ciocche bianche, troppi, troppi scatti oltre noi stessi.
Tardi. Ti do un appuntamento vago stanco “una birra, sì, uno di questi giorni” - ma tu che non sei salva, tu sai ridere “puoi ancora opporre il bello alla miseria confina fuori il tempo, il giorno è adesso”.
ONDA/CORPUSCOLO
a S.
Quando eravamo pischelli leggevamo insieme Hawking in biblioteca. Ci piaceva la sua storia: paradossi e buchi neri in un romanzo.
Dopo tutti questi anni vieni a dirmi che sai risolvere l’equazione di Schrödinger, che la metrica di Riemann la capisci proprio bene, perdio!
Io invece - sono sempre quello che ti consiglia i libri che ti legge i suoi racconti, una poesia o due mentre fumiamo.
Eppure (non so come) continuo a fare il tuo lavoro a risolvere i tuoi conti
come se tu volessi dire a me dov’è che ha messo male una virgola Fitzgerald.
PROEMIO
Se qualcuno mai dirà che la mia è una poesia d’inappartenenza, certo mi colmerà d’onori pensando a me come al gran maestro delle anguille e dei limoni.
E che mai dovrei rispondere al critico severo al giovane studioso alla nuova fidanzata, al vecchio parente, all’amico di sempre o allo stuolo sospettoso di freschi appassionati?
Chiedete piuttosto alle lettere puntate, ai senhal soffiati di foglio in foglio, all’orda rapidissima di tu che possiedono i miei versi per contratto - bell’affare - che li suggono bestiali dalla penna e il mio inchiostro è il loro polline segreto che la bufera sperde e a me lo riconduce, insieme a quei vestigi che lasciarono passando in me senza saperlo, all’ombra fresca e muta del mio cuore:
non c’è un singolo atto che io scordi - un occhiolino, una carezza, una risata - i doni che m’han fatto, irripetibili, e che v’inchiodo nel tramestio dei righi: a quelli rivolgetevi, a quelli domandate “dov’è il senso?” e forse in interlinea una sagoma cinese affiorerà sgranata e sarò io.
[ da Soglie, Massimo Del Prete, Giuliano Ladolfi Editore ]
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